Un posto libero per la felicità

Trascorro in media due ore al giorno sui mezzi pubblici.

730 ore all’anno, che corrispondono a 30,4 giorni.

In pratica passo un mese su 12 seduta su un pullman.

Eppure mi ritengo molto fortunata.

Proprio così, è un gran bel privilegio. Pensaci bene: sono 120 minuti da dedicare alla lettura, a una telefonata, ad ascoltare musica o a guardarti attorno lasciando scorrere i pensieri. Tutto questo mentre qualcuno ti porta da A a B.

Io lo trovo fantastico.

Certo, ci possono essere delle complicazioni, ma anche di queste si può fare buon uso.

Ad esempio le ore di punta. Ecco, quelle sono proprio l’occasione in cui, se scegli la pillola sbagliata, avrai ottime probabilità di rovinarti l’intera giornata.

Quando si aprono le porte e scopri che lo spazio a te riservato ha le dimensioni di un A4, quello è il momento per fare un profondo respiro e sfoderare il tuo sorriso migliore: stai per condividere ogni particella dell’aria che respiri con dei perfetti sconosciuti a una distanza pressoché nulla dai loro corpi. Dunque, tanto vale farseli amici, no?

Non va, però, sempre così. A volte trovi anche qualche sedile libero e puoi scegliere se occuparlo o meno. In merito a questo, io ho la mia personale tecnica valutativa.

Se, quando salgo sul pullman, entro la prima fermata i posti liberi sono due o più, allora uno posso occuparlo io, almeno fino alla fermata successiva quando valuterò se tra i nuovi passeggeri ce ne sarà qualcuno più bisognoso di me.

Stamattina, per esempio, ero sulla metro e c’erano molti posti a sedere liberi. Mi sono guardata attorno per un po’ e, al momento opportuno, mi sono accomodata.

Alla fermata della stazione, dove avviene lo scambio più consistente di viaggiatori, restano un posto libero alla mia sinistra e un’altro poco distante. Bene, posso restare qui a leggere il mio libro.

Mentre mi immergo tra le pagine, un bambino mi si siede accanto. Alzo lo sguardo e incrocio quello della nonna del piccolo che lo osserva attenta, sorreggendosi ai sostegni.

Mi alzo per lasciarle il posto, ci scambiamo un sorriso e lei può finalmente sedersi affianco al nipotino.

Resto in piedi lì vicino, apro il mio libro e torno a leggere.

“Ehi! Ehi! Ci stiamo! Ehi! Puoi sederti anche tu!” la voce sottile e squillante del piccolo richiama la mia attenzione, ma non mi accorgo che sta parlando proprio con me fino a quando non sento la nonna interromperlo gentilmente:

“Non disturbare la signorina, sta leggendo, vedi?”

“Sì, ma, nonna, ci stiamo tutti e tre! Perché deve stare in piedi se ci sta anche lei?”

Mi volto e vedo che, mentre gesticola disegnando nell’aria i suoi princìpi, si fa piccolo piccolo accanto alla nonna, lasciando così uno spazio vuoto affianco a lui.

“Non preoccuparti, sei molto gentile, ma devo scendere alla prossima fermata. Buon viaggio!”. Saluto lui e la nonna e lascio la metro.

Non è vero. Non dovevo affatto scendere lì, ma quattro fermate dopo.

Mi ha spiazzata! Non sapevo cosa fare e mi son sentita disarmata dalla semplicità del gesto di un bambino, dalla naturalezza con cui me l’ha mostrata.

Ci avresti mai pensato, tu, di spostarti un pochettino per condividere il tuo sedile con qualcun’altro? No. E nemmeno io.

Ma lui sì.

Per lui era del tutto naturale stringersi un po’ perché qualcun’ altro potesse sedersi lì affianco.

Certi ragionamenti sono così ovvi… Siamo noi che abbiamo complicato tutto quanto!

Ma quand’è che abbiamo perso la capacità di essere bambini?

Quand’è che abbiamo smesso di rendere le cose semplici?

Ci siamo svegliati una mattina e siamo rimasti a contemplare il mondo cercando un modo per rendere tutto più difficile di com’è?

Ogni volta che mi fermo a guardarli, mi rendo conto che dai bambini abbiamo davvero tanto da imparare. E anche questo dovremmo farlo come loro. Sì, imparare, intendo.

Non è sempre necessario fare tante domande e scegliere tra mille risposte.

A volte basta fare la cosa più ovvia: stringersi sul sedile e lasciare che due posti diventino tre. E, visto che siamo vicini, approfittarne per giocare un po’ assieme, magari per 4 fermate. Poi scendere a quella giusta e lasciare che le domande inutili cerchino un posto libero per svanire nel nulla.