Sognare forte

Sognare forte

Era un giovedì sera di metà settembre.

Avevamo parcheggiato lontano da casa e stavamo rientrando a passo spedito. D’un tratto mi accorgo di essere sola, mi volto. Matte era fermo davanti a un palo della luce con lo sguardo affranto, assorto nella lettura di un cartello appeso lì, nella notte.

 

Per favore aiutateci a trovarlo, si è smarrito il 19/8 all’incrocio tra le vie…
È un gatto tigrato a pelo lungo, il colore oscilla tra il nero e il marrone.
È molto timido e pauroso quindi difficilmente si lascia avvicinare dagli sconosciuti…

Poco sopra, l’immagine in bianco e nero di un bellissimo gatto dall’espressione un po’ scocciata, tipica dei felini davanti alla fotocamera.

– Diciannove agosto…quasi un mese. –

– Non vorrei essere al loro posto… Ormai saranno rassegnati ad averlo perso per sempre. –

– Immagina il dolore… Succedesse a me diventerei matto. –

– Cosa darei per ritrovarlo e riportarglielo a casa. Pensa quanto sarebbero felici…-

L’immagine della gioia perfetta dipinta negli occhi di un padrone che ritrova il suo gatto mi accompagnò fino a casa.

Quella sera mi resi conto di aver visto centinaia di cartelli come quello nella mia vita e di non aver mai contribuito al lieto fine. Sì, lo so, certe cose capitano, mica le puoi pianificare.

Però quanto sarebbe stato bello ritrovarlo e riportarlo a casa sua. Quanto sarebbe stato bello… Ricordo chiaramente quanto l’abbia desiderato.

 

Per favore, aiutateci a trovarlo. 

Le parole fluttuavano davanti ai miei occhi.

Quel messaggio mi colpì davvero. E la sensazione di impotenza non fece altro che riaccendere, nei giorni a venire, il sogno di vestire i panni del supereroe e riportare a casa il piccolo fuggiasco.

Ho sempre pensato che i desideri, quelli puri, abbiano una forza di cui non conosciamo affatto l’entità.

 

Poi a volte i sogni si avverano e ci lasciano così, di stucco, a domandarci perché non lo facciamo più spesso di sognare forte.

Era un martedì sera di metà settembre.

Tornavo a casa dopo una bella cena con un’amica. Passeggiavamo tranquille lungo la via silenziosa dove entrambe abitiamo. Uno, due, tre giri dell’isolato a finire quel discorso e poi quell’altro. Hai presente quando le parole si inseguono e scivolano come fiumi inarrestabili? Pensi che una fine non ci sarà mai a meno che non vi interrompa qualcosa di insolito, di davvero straordinario che meriti tutta la vostra attenzione.

Come un gatto.

Un gatto tigrato a pelo lungo seduto lì a fissarti sul ciglio della strada. Un gatto che ti guarda dritto negli occhi, ti chiama a gran voce e parla con te, sì, proprio con te che non lo conosci, ma l’hai pensato fortissimo.

– Vale! Dobbiamo riportarlo a casa! C’è un cartello, laggiù, lontano, l’ho visto l’altra sera! Dobbiamo prenderlo subito! –

E qui interviene la fortuna sfacciata di avere un’amica, accanto a te, che sa di avere un conto in sospeso con il destino. Perchè anche lei qualche anno fa ha perso il suo gatto e l’ha ritrovato proprio grazie a un supereroe come oggi potremmo essere noi.

Vale si fionda a casa, prende la gabbietta, la pappa e una ciotola.

Nel frattempo io mi accovaccio a terra. E aspetto.

Timido e pauroso, diceva quel cartello. Eppure il micio, magro e spelacchiato, mi corre davanti due o tre volte per poi balzarmi addosso e sommergermi di peli, fusa e baci appassionati. Come se ci conoscessimo da sempre. O come se fossi la sua ultima speranza.

Io, Vale e il piccolo nella gabbietta attraversiamo come folli tutte le vie del quartiere alla ricerca di quei cartelli che sembrano svaniti nel nulla. Chi li ha tolti, tutti quanti?

Perché proprio ora? Forse perché dopo un mese la ragione ha avuto la meglio sull’ultimo afflato di speranza?

Ancora no, non del tutto.

Un ultimo foglio svolazza nella notte, appeso a un palo come una bandiera dei pirati. Troppo tardi, ora, per chiamare quel numero. Mandiamo un messaggio completo di video e foto del piccolo eroe, saluto Vale e il gatto (ormai colmo di cibo) che passeranno la notte insieme e torno a casa a sperare fino al mattino.

– Sembra proprio lui! Sembra proprio il mio Tigro! –

All’alba un messaggio sul telefono sembra trasformare il mio sogno in realtà. Mal che vada, avremo salvato un micetto e cercheremo i suoi padroni, ma se fossero proprio loro, beh, insomma, avrebbe dell’incredibile, no?

Ci incontriamo nel pomeriggio e siamo tutti emozionati come il giorno di Natale.

Fabio lo sa, se lo sente, quello deve essere il suo Tigro, ma la speranza è sempre l’ultima a morire e finché non lo vedrà non ne avrà la certezza.

Il piccolo fuggiasco è sul divano, già felice di aver trascorso una notte al caldo. Tra noi e lui, una porta chiusa.

Ci prepariamo al verdetto. Tutti senza fiato per respirare.

La porta si apre, Tigro scatta dritto sulle zampette e una melodia di fusa e miagolii inonda la stanza.

– È lui… è lui… è lui… certo che è lui! –

Sento che esplodo. Sì, stavolta esplodo per davvero!

Fabio e Tigro si aggrovigliano in una danza di baci e carezze senza fine. Un sogno ormai decaduto si trasforma in realtà, proprio qui, davanti ai miei occhi.

Io e Vale ci guardiamo, commosse e felici.

E quella felicità galleggia e sommerge ogni cosa.

Ce la godiamo tutta, ciascuno il suo pezzetto.

Poi, ognuno con la propria dose di gratitudine tra le mani, andiamo per la nostra strada.

Cammino a due metri da terra, sollevata come per magia, mentre torno a casa nel mio giorno indimenticabile.

Apro il portone e sento un fruscio dietro la schiena.

Mi volto e lo vedo lì, appeso alle mie spalle.

È il mio mantello da supereroe che balla nel vento una danza scomposta.

Lo porterò con me per ricordarmi di sognare forte, perché a volte i sogni si avverano e ci lasciano così a domandarci perché non lo facciamo di più.