I suoni del silenzio

Non ho mai avuto un rapporto così intimo con il mio balcone come in questi giorni.

Sì, insomma, abbiamo avuto sempre una relazione discontinua. Ci vedevamo ogni tanto, lui mi è sempre stato fedele, io ammetto di averlo trascurato spesso. Ma ora siamo proprio legatissimi. Praticamente è la mia casa di villeggiatura.

Dopo la colazione, saluto Matteo, mi metto un golfino e:

 – Ciao, io vado! Ci vediamo più tardi. –

Prendo il computer, un libro, la tisana e resto lì, fino a che la temperatura e la luce lo consentono.

Da qui si respira di più, il sole è più caldo e ogni tanto si incontra qualche vicino che fa cose. 

Sono sul balcone da questa mattina, è una tranquilla domenica di un insolito aprile. La città è immobile e le strade sono vuote. Qualcuno, nella via, accende la TV e la voce di un giornalista ci aggiorna tutti quanti sui decessi e i ricoveri delle ultime ore, sulla disponibilità di mascherine e sulla diffusione del contagio al di là dei confini nazionali. Insomma, è una domenica qualsiasi di un insolito aprile pandemico.

Improvvisamente la voce del Tg svanisce, azzittita, penso, da qualcuno che ne ha avuto abbastanza di sentir parlare sempre della stessa cosa. Tanto, si sa, la gente muore, altra guarisce e noi dobbiamo stare in casa. 

Sto scrivendo con calma e con il sole addosso. Sembra tutto normale, anche se nulla lo è per davvero. 

Mentre gongolo orgogliosa del mio balconcino, il silenzio torna imponente a serpeggiare nella via.

Passa qualche istante e un intrepido fruscio spezza la quiete della città. 

Che diamine sta succedendo? Cos’è questo rumore?

Mi affaccio sulla strada, ma non c’è anima viva da nessuna parte e nessuno alle finestre, niente di niente.

Un movimento lontano cattura il mio sguardo. 

Sulle strisce pedonali a un centinaio di metri da casa mia scorgo un pezzo di carta che galleggia sull’asfalto spinto dal soffio di un vento leggero. 

Un foglio di carta.

A cento metri di distanza.

Tre piani sotto il mio balcone. 

Chiudo gli occhi e lo sento distintamente allontanarsi da me. Lo sento saltare e volteggiare sfiorando la strada, lo sento ballare libero e sfacciato senza chiedere il permesso, lo sento andarsene felice e indisturbato sul grande corso sgombro. 

E poi silenzio.

Per la prima volta mi rendo conto sul serio dell’immobilità e del suo fascino disarmante. 

Ecco, caro balcone. Ora ci mettiamo qui e l’ascoltiamo fino in fondo, questa pausa surreale. Che ne pensi? 

Non ho il tempo di aspettare la sua risposta che un gabbiano passa sfrecciando davanti ai miei occhi. Il rumore delle sue ali si prende tutto il silenzio che c’è e lui, indifferente, se ne va.

 – Basta! – 

Un urlo distante esplode da una finestra lontana seguito dalla risata di un bambino. – Una mamma sfinita – penso sorridendo. E torno ad aspettare il prossimo intervallo di uno spettacolo al contrario.

Trascorsa una decina di minuti il rumore della gomma sull’asfalto precede l’arrivo di una bicicletta che frena improvvisamente davanti a un portone della mia via.

Un omino con un grosso zaino firmato Glovo suona al citofono e distintamente sento una voce di donna rispondere – Scendo subito! -.

Lui tira fuori il contenuto dal borsone e lo consegna nelle mani della signora, mantenendo con rigore le distanze.
– Grazie, arrivederci! –
Con un cenno il ragazzo se ne va e le gomme tornano a schiaffeggiare l’asfalto fino a sparire.

Il silenzio riprende possesso di tutto e, per una buona mezz’ora, nessun suono gli sottrae la scena fino a quando… 

Cìc ciàc, cìc ciàc, cìc ciàc…un signore dall’abbigliamento fluorescente gira l’angolo alla mia sinistra e percorre di corsa il marciapiede sotto il balcone. Lo seguo con lo sguardo finché svolta a destra alla fine della strada. Silenzio.

Cìc ciàc, cìc ciàc, cìc ciàc. Mi volto e vedo tornare lo stesso podista di qualche minuto fa.

Stessa scena, stesso ritmo, stessa svolta.

Cìc ciàc, cìc ciàc, cìc ciàc. La corsa intorno al palazzo prosegue in tondo per circa venti minuti. E poi svanisce. 

Mi lascio travolgere dalla meraviglia del silenzio e delle sue pause, dall’insolito fragore dei suoni banali e dalla presenza scenica che raggiungono quando diventano i protagonisti indiscussi. Sono i suoni della città, quelli che normalmente soccombono sotto al ruggito delle auto e che sussurrano mentre la fretta di ogni giorno prende il sopravvento.

All’improvviso, un fischio lontano zittisce i miei pensieri e si avvicina con fretta e prepotenza. Un urlo spietato e acutissimo che frantuma la calma e dilania il silenzio.

È il grido di una sirena, di un’ambulanza che corre e ci ricorda che sì, andrà tutto bene, ma per ora non è proprio rose e fiori. Richiama la nostra attenzione al rigore, al rispetto, alla gratitudine e alla compassione. 

Il silenzio, quello di questi giorni, non è una bella notizia. È il rumore di qualcosa che non va e che speriamo ci abbandoni presto. È la voce di una sconfitta che ci trafigge tutti quanti.

Ma quando succederà – perché succederà – che il fruscio della carta sull’asfalto tornerà a sparire sotto il ruggito delle auto, avremo un motivo in più per interrompere il turbinio. Perché da domani sapremo cosa ci siamo persi per tutto questo tempo e sapremo quanto ogni piccola cosa diventi preziosa quando viene a mancare.

Da domani, quando potremo tornare a inseguire le nostre giornate, le dimensioni del tempo e dello spazio avranno assunto un nuovo significato e sarà bene che ce ne ricordiamo. Da domani, quando potremo di nuovo essere rumore e frastuono, la scelta starà a noi e alla nostra memoria: se riprendere tutto come l’avevamo lasciato o se tornare ad ascoltare i suoni del silenzio.